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16 Ottobre 2019

Vendere è un’arte

Cosa si intende per vendita? Un buon giurista risponderebbe senz’altro alla domanda citando l’articolo 1470 del Codice Civile che definisce la vendita come “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”, un buon economo potrebbe definire la vendita come “il punto d’incontro tra la domanda e l’offerta”, ma un vero commerciale risponderebbe definendo la vendita come “la magia artistica che si compie nel trovare soluzione al bisogno altrui”. Sebbene siano tutte e tre risposte adeguate e corrette, non c’è ombra di dubbio su quale sia quella che più ci affascina: la terza, quella fornitaci dal nostro buon venditore è senz’altro ben più interessante e seducente.

Proprio in questo consiste una buona parte dell’attività commerciale: dare la possibilità al proprio interlocutore di vedere la stessa cosa secondo un nuovo punto di vista e, così, conquistarlo. Ora, sebbene non si possa proprio dire che tutti coloro che si occupano di vendite svolgono propriamente il medesimo lavoro (non è la stessa cosa vendere frutta al mercato, pacchetti assicurativi o servizi alle aziende…) il mestiere del commerciale ha determinate caratteristiche comuni. Procedendo in modo sintetico e sistematico andiamo ad approfondire cosa fa della vendita un’arte.

Innanzitutto una buona capacità comunicativa e relazionale; sebbene oggi si viva in un mondo dove tutto è veloce e può apparire a tratti frenetico l’attività commerciale prende comunque il via con una buona relazione con il proprio interlocutore; l’uomo è da sempre e per sua natura rapporto, relazione appunto, tanto nelle comunità preistoriche del paleolitico, quanto nella società moderna dei millennials (caratterizzata proprio dal fenomeno “social network”) l’uomo è spinto a comunicarsi agli altri e a stringere legami interpersonali volti al soddisfacimento dei bisogni comuni. Stabilire legami è parte imprescindibile dell’attività commerciale.

Un altro punto cardine da cui non può prescindere chi fa della vendita un’arte è la capacità di ascolto. Non è buon commerciale chi parla e basta, bisogna sapere ascoltare, e attenzione, “ascoltare” non solo nel senso di intendere le parole, ma anche sapere interpretare le espressioni, osservare e capire l’interlocutore, conoscerlo, assecondarlo e, laddove sia possibile assistere a seconda delle necessità. Anche questo è vendere.

A riprova del fatto che quando si parla di “vendita” ci si riferisce ad una professione liberale ed elegante completano il profilo del vero commerciale una serie di soft skilss che possono essere definite come “attitudini della personalità” quali autostima, meglio nota come fiducia in sé stessi (se non credi in te stesso, se non credi in quello che fai, perché mai dovrebbero farlo gli altri?), umiltà (nessuno ama i superbi) ed empatia.

Infine, a conferma del fatto che un commerciale è un “artista sui generis”, vi è un ultimo aspetto degno di nota presente in ogni performance artistica che si rispetti: il gran finale. È parte integrante dell’arte del vendere infatti quello che metaforicamente è il goal al novantesimo, il canestro da tre sulla sirena, il colpo del K.O., insomma la capacità di chiudere la partita. La c.d. consapevolezza di concludere la trattativa e portare a casa la vittoria, questo è talento innato e niente più. Ecco, questa predisposizione naturale, che per i nostri padri era sancita da una sana stretta di mano, i bravi venditori di oggi la ereditano sotto diverse spoglie, con forme differenti, ma nel rispetto di una tradizione più che millenaria, perché in fondo si sa da sempre: “vendere è un’arte”.

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